Cozze e vongole in tavola? I consigli per consumarle senza correre rischi

Regine dell’alimentazione estiva, sono gustose e nutrienti, ma possono provocare infezioni. Per evitare brutte sorprese lavarle bene e, soprattutto, non mangiarle crude

cozze e vongole

Cosa c’è di meglio, in una calda serata estiva, di una cena a base di frutti di mare? E così, a casa o al ristorante, in questo periodo è un trionfo di spaghetti alle vongole, impepate di cozze, linguine allo scoglio. Delizie per il palato, che vantano anche ottime proprietà nutrizionali, come spiega Andrea Ghiselli, ricercatore del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) di Roma: «Cozze e vongole contengono una buona quantità di proteine (10% circa), vitamina B12, sali minerali, come ferro (6 milligrammi per 100 grammi, circa il doppio di quello contenuto nella carne rossa), fosforo, potassio, zinco, magnesio, selenio. Hanno un bassissimo contenuto di grassi (1-2%) e un ridotto apporto calorico (circa 70-80 calorie per 100 grammi)».
Occhio alle infezioni
Cibi gustosi, nutrienti e amici della bilancia, che però possono nascondere qualche insidia. A cominciare dalle possibili infezioni, come enterite, epatite A, salmonellosi. Cozze, vongole e simili sono, infatti, organismi filtratori (non a caso chiamati i “setacci del mare”), che usano le branchie per filtrare l’acqua (fino a sei litri all’ora), da cui ricavare le particelle alimentari essenziali per la propria nutrizione. «Questo meccanismo può diventare fonte di infezione per chi le mangia, se il mare in cui vivono non è pulito. Un rischio che aumenta quanto più le acque sono inquinate», avverte Ghiselli.
Dall’acquisto alla cottura
Per evitare brutte sorprese, però, basta seguire qualche semplice consiglio. Come acquistarle sempre in supermercati o in negozi di fiducia, che rispettino la catena del freddo, verificando che sulla confezione ci sia il marchio Cee, che garantisce un certo grado di sicurezza igienico-sanitaria. Non dimenticare, inoltre, di dare un’occhiata all’etichetta che riporta tutte le informazioni relative al prodotto: nome, provenienza, data di confezionamento e di scadenza. «Occorre poi controllare che la conchiglia non presenti opacità, che dall’apertura esca acqua limpida e incolore, che i molluschi siano vivi – suggerisce l’esperto -. Per accertarlo, bisogna guardare che le valve siano chiuse. Qualora fossero leggermente aperte, dovranno chiudersi toccandole». Una volta a casa, è importante il lavaggio: bisogna lavare i frutti di mare con abbondante acqua corrente fino a che verranno eliminati tutti i residui di sabbia. Nel caso non si consumassero nell’immediato, è possibile conservarli in frigorifero per brevi periodi, ben chiusi nella loro rete. «Durante la cottura, i gusci si apriranno per azione dell’elevata temperatura e bisognerà scartare quelli rimasti chiusi – dice Ghiselli -, segno che non è arrivato calore sufficiente a farli aprire e quindi anche a uccidere gli eventuali patogeni presenti». Spesso per esaltare le qualità organolettiche del prodotto, si tende a spegnere il fuoco appena il mollusco si è aperto: questo non basta a eliminare possibili microrganismi e bisogna perciò prolungare la cottura ancora per qualche minuto. Un’avvertenza: in via precauzionale, i frutti di mare sono sconsigliati alle donne in gravidanza e agli immunodepressi, perché la temperatura raggiunta durante la cottura potrebbe non essere comunque sufficiente a eliminare del tutto i patogeni. Poiché si tratta di persone particolarmente vulnerabili, meglio non rischiare. Dato che i bivalve contengono sodio, è inoltre una buona regola non aggiungere sale durante la cottura, né prima di servirli. Al ristorante o in trattoria, dove non è possibile effettuare di persona tutti questi controlli, mai cedere alla tentazione di ordinare molluschi crudi. Il sapore è ottimo, ma l’azzardo potrebbe costare caro.

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